giovedì 21 ottobre 2010

Il Puzzle

Le luci erano spente. Prima di addormentarsi Luciano le chiese:
- Hai detto tu a Giulia che voglio mettere il puzzle in camera sua ?
Luisa si girò verso di lui.
- Quando abbiamo visto il puzzle nel garage, Giulia ha pensato che fosse un regalo per lei…
- Era un regalo per me. Anche la commessa al negozio mi ha chiesto se doveva fare un pacchetto...
- Ho capito che l’avevi comperato per te. Ma dicendole che era per lei ho pensato che così ci sarebbe stata lontana finché non era finito.
- Giulia non lo vuole.
- Te l’ha detto lei ?
- Oggi pomeriggio. Quando sono tornato su, dopo la lavatrice. Mi ha detto che non le piace la carta geografica. Vuole un orsetto, e mi ha mostrato la pubblicità dell’orsetto.
- Sta mattina voleva dei gattini.
- L’aveva detto anche a te ?
- Cosa ?
- Che non le piaceva la carta geografica.
- Quando siamo arrivate ha guardato la scatola. Ho provato a dirle che era per lei ma mi ha subito messo con le spalle al muro. “Perché papà non mi ha fatto aprire la scatola ?”.
- E’ proprio tua figlia.
- Cosa vuoi dire ?
- Ha carattere. Farà strada, come sua madre.
Luciano sperò che finisse qui.
- E’ anche figlia tua. Non pensi che alcune delle sue qualità le arrivino da te.
- Può darsi.
Luisa lo guardava nel buio con gli occhi aperti. Luciano le voltava le spalle, ma aveva anche lui gli occhi aperti.
- Quando sono venuto su lei mi ha chiesto cosa avevo fatto giù da basso. Lì per lì volevo dirle che avevo da sistemare il garage. Ma le ho detto che stavo facendo il puzzle.
- E lei che ti ha risposto ?
- Mi ha detto che non lo voleva in camera sua.
- Ma come te l’ha detto ?
- “Papà, non mi piace il puzzle che hai comperato.”
- Così, senza neanche grazie.
- Sì, così. Ha detto la verità. Non le insegniamo che si deve sempre dire la verità ?
- Ma le insegniamo anche che bisogna essere gentili. Che bisogna scusarsi e ringraziare.
- Forse il problema è tutto qui.
- Quale problema ?
- Che è difficile essere sinceri e non passare per maleducati.
- C’è modo e modo. E occorre che capisca che non può buttare via tutto quello che non le va, senza pensare a quelli che si sono preoccupati di comprarle qualcosa.
- Ma nessuno le aveva comprato niente.
- Cosa vuol dire ?
- Che siamo stati noi i primi a mentirle.
- Vuoi dire che sono stata io.
- Sì, ma io ti ho retto il gioco. Quindi siamo in due.
- Ma, magari tu non l’avresti fatto…
- Non lo so. Forse davvero non è bene che pensi che suo padre fa i puzzle per passare il tempo.
Luisa si alzò appoggiandosi al gomito.
- Pensi davvero che glielo abbia detto per questo ?
- No. Non lo so.
Luisa stava accendendo la luce del comodino.
- Non te la devi prendere Luisa. Non hai fatto male.
- Giulia è contenta di stare a casa con te, questo lo sai…
- E io sono contento di stare con lei…
Luisa allontanò la mano dall’interruttore.
- Le ho detto che era per lei solo perché non toccasse i pezzi e aspettasse che fosse finito…
- A ogni modo non corro rischi. 
- Però finché non è finito la tua macchina sta fuori.
- Cercherò di sbrigarmi.
- Non mi è sembrata una buona idea…
- Cosa ?
- La macchina in strada per fare posto a un puzzle.
- No, forse non lo è. Ma non è una situazione irrimediabile.
- Questo lo so. Però cosa succederebbe se ti rubassero la macchina ? Come ci andresti in giro ?
- Con l’autobus, in bicicletta, a piedi. Eviterei i taxi.
- Sembra che non ti importi.
- Dormiamo, che domani devi svegliarti presto.

Dopo cena Luciano salì le scale, entrò in camera da letto e si sdraiò al buio sul tappeto con gli occhi aperti verso il soffitto. La bambina era giù a guardare la televisione, sua madre aveva finito in cucina. C’era silenzio.
Luisa andò su. Nel frattempo Filippo si era seduto sul letto e aveva acceso la luce sul comodino.
- Lo so che non è facile... Puoi dirmi che cosa c’è ?
- E’ tutto a posto.
- No, non è tutto a posto. Ma se non mi dici che problema hai, io come faccio ad aiutarti ?
- E’ tutto a posto. Mi sento bene. Grazie
- Perché mi dici “grazie” ?! Non sono mica il tuo dottore! Sono tua moglie! ...“Grazie”...Perché “grazie” ! Tu fai finta di essere gentile, ma fai così solo per allontanarmi.
- Non urlare, Luisa...la bambina...
- “Non urlare” ?! Io urlo perché mi ascolti ! Urlo perché voglio aiutarti. Cazzo, è incredibile... Cosa sto facendo... 
- Cosa vuoi che ti dica ?
- “Luisa mi sento uno schifo, cosa posso fare ?” Ecco. Basterebbe.
- Lo sai che ho perso il lavoro...
- So che hai perso il posto, ma mi domando se non stai perdendo anche la testa...
- Non lo so neanch’io.
- No, tu lo sai ! Tu ti senti cambiato, non ti riconosci. Non ti stimi più. Ma non me lo vuoi dire...
- Tu vuoi schiacciarmi...
- Ecco ! E’ venuto fuori alla fine !
- Cosa “è venuto fuori” ?
- Il motivo, la causa di tutto. Il problema non è il lavoro. Il problema sono io !
- Perché tu ?
- Perché non me lo dici tu ?
- Cosa ?
- Perché non mi dici perché non mi sopporti più ?
- Io non ti ho detto che non ti sopporto più. Penso solo che, forse, non mi puoi aiutare...
- In che senso ?
- Non credo che tu abbia tempo di cercarmi un lavoro. E non sarebbe neanche giusto.
- No, il lavoro non posso trovartelo io. Ma posso chiedere...magari a un cliente... se capita l’occasione...
- Scusa, ma diresti a un cliente che tuo marito è disoccupato...
- Perché no ? ....Oddio ho capito.
- Cosa ?
- Ho capito perché sei così distante.
- E sarebbe ?
- Eccolo, di nuovo ! E’ sempre come se le cose non lo riguardassero, come se anche adesso non si parlasse di te. Sembra che siamo due dottori che parlano di un paziente. No. Qui ci sei tu di mezzo ! Davvero la sincerità non sai cosa sia...
- Luisa, cos’hai capito ?
- Ho capito che preferisci non affrontarmi o starmi lontano perché non ti senti all’altezza...Ecco, lo sapevo...ho indovinato...
- Brava
- Ma, cazzo, Luciano perché ? Cosa ti è preso ?
- Non ho detto che hai indovinato.
- Cos’è, una caccia al tesoro ? Tu fai un passo avanti e uno indietro e sei convinto che tornare indietro cancelli il passo avanti. Prima sembra una cosa e poi non vuoi ammettere... Ok ci sto. Allora torno a chiederti “cosa c’è che non va ? ho notato che qualcosa è cambiano tra di noi...”
- Penso che non troverò più un lavoro, che sarò inutile, che devo stare a casa ad allevare nostra figlia. Ma fare questo solo non mi va e non mi basta...
- A parte che tu educhi Giulia e che sono le vacche che si allevano. A parte questo non abbiamo fatto passi avanti. L’ho capito che ti serve un lavoro. Ricominciamo: tu eri dirigente, no ? Bene. Se ti dicono che ti prendono ma ti mettono a fare il venditore, cioè ti fanno partire da un grado più basso di quello di prima, tu accetti il lavoro ? In fin dei conti se il problema è che ti annoi a fare la casalinga, un lavoro dovrebbe valerne un altro... Allora accetti il lavoro da schifo ?
- Spererei in meglio ma, probabilmente, lo terrei..
- Però non saresti felice...
- No, probabilmente no...  Non credo che neanche tu salteresti di gioia se ti dicessero, dopo che hai fatto l’avvocato, “se vuoi lavorare c’è un posto come cameriera. O questo o niente...”
- Sì, su questo siamo d’accordo. Ma il problema è “perché non saresti felice con un lavoro, anche di livello più basso rispetto a quello di prima, se il tuo problema è che non hai un lavoro ?”
- Perché avrei fatto un passo indietro. Non mi sembra così difficile da capire.
- Va bene. Ma c’è ancora qualcosa che non mi torna. E mi spiego. Premesso che, se occorre, bisogna adattarsi a quello che si trova, la domanda è “con un lavoro peggiore di quello che avevi saresti più felice di quanto sei adesso ?”
- Non lo so. Come faccio a saperlo ?
- No. Tu lo sai e sai che non cambierebbe niente. Mio marito non sarebbe più quello di una volta. A te servirebbe il lavoro di prima, lo capisco. Ma quello non c’è più...
- Forse non basterebbe neanche più quello...
- E cosa pretendi ? che ti facciano presidente ?
- Beh, sì, vorrei la presidenza...
- Ecco, sì, bravo... Ma cosa vorresti fare per sentirti a posto con te stesso, a tuo agio con me ? Cosa !
- Dovrei guadagnare più di te.
- ...No... non ci posso credere. Alla fine è solo un problema di soldi...
- Beh, sono importanti i soldi, no ?
- Tu stai tirando su un muro nel rapporto con tua moglie, solo perché guadagno più di te ? Tu non sopporti tua figlia, solo perché guadagno più di te ? Non ci voglio credere.
- Io non valgo niente, se non è così.
- E questa stronzata chi te l’ha messa in testa ?
- Non lo so...Ci sarò arrivato da solo.
- Mi rispondi anche ? No, non c’è una risposta a quella domanda. Ti rendi conto ? Salta la  nostra relazione, la nostra famiglia. Perché ? Perché io guadagno di più.
- No, tu adesso sei la sola che guadagna.
- E allora...
- E allora io mi sento umiliato, un fallito. Io ho fallito, ecco tutto. Non è che non ti ami...
Sono i fatti a dire se hai avuto successo o no. Le prove dimostrano che il qui presente Luciano Malli di anni 37, ha perso il lavoro, accompagna la figlia a scuola e passa il tempo facendo un puzzle in garage. E il bucato.
Vai un po’ a raccontare in giro cosa fa tuo marito ! In fondo ti vergogneresti anche tu.
- Non dirlo ! Io non mi vergognerei.
- Proprio sicura ?
- Non c’è niente di male a perdere il lavoro se un’azienda chiude. E poi non sta scritto da nessuna parte che non ti troverai un altro posto.
- Ma non c’è neanche scritto che di certo lo troverò. E il nostro matrimonio resisterà a questo ?
- Dipende da noi...
- Non solo da noi. Non viviamo mica in un’isola deserta. E se i nostri amici ci propongono di andare a un ristorante, uno di quelli che frequentavamo, ma dobbiamo dire di no perché “sai, mio marito è ancora disoccupato...” Bastano davvero due cuori e una capanna ?
- Non è mai stato un problema il ristorante. Lo sai anche tu che possiamo ancora permettercelo.
- Allora grazie, perché sei disposta a offrirmi la cena.
- Sei uno stronzo, cazzo ! uno stronzo di merda ! Io non sto offrendo la cena a un estraneo. Sei mio marito. Ai mariti non si offrono le cene. Io ti amo non per il lavoro che avevi o avrai. Non me ne frega niente del lavoro.
- Sì, ma occorre essere in due per essere d’accordo. E io non la penso così. Penso che noi due, adesso più che mai, apparteniamo a due classi sociali diverse. E come se mi fossi sposato con una duchessa che mangia con venti posate e io, che uso le mani, devo fare finta di essere a mio agio.
- Tu stai impazzendo.
- Sarà... Ma io sono convinto che sto solo descrivendo la realtà.
- Cioè la realtà è che se ti lasciano a casa a trentasette anni sei un uomo finito
- Non c’è niente che mi prova il contrario, adesso...
- E la realtà sarebbe che ci vuoi trascinare tutti dentro la tua ossessione. Che non ti basta distruggere te stesso...
- Scusa ?
- Hai capito bene. Non sei mica sordo. Oggi, a pranzo...
- A pranzo cosa ?
- A pranzo a tua figlia hai detto di non andare a scuola. “Andiamo a fare un giro in bici” e roba del genere...
- Sì, poi il giro l’abbiamo fatto. Dopo la scuola.
- Sì, però hai visto cosa è successo: è bastato un attimo di distrazione e Giulia era già pronta a farmi passare un’ora d’inferno mentre la riportavo a scuola, solo perché suo padre le ha detto che tanto si può fare anche a meno di andare a scuola...
- Sì, forse non è stata una buona idea, ma sai...
- Cosa devo sapere ? ...Io non so niente. So che ti senti un fallito. Ma non vuol dire che devo passare io per quella cattiva con mia figlia, quella che dice “No, Giulia, dobbiamo andare a scuola”, andando contro a quello che ha detto suo padre. Cosa facciamo adesso ? Ci mettiamo a fare una gara per sapere se la bambina vuole più bene al papà o alla mamma ?
- Tu vuoi schiacciarmi...
- Se ormai non hai più neanche una briciola di amor proprio, almeno pensa a tua figlia ! Come la dobbiamo tirare su ? Cosa vuoi che diventi ? Le serve disciplina. Sì e no, e dobbiamo essere d’accordo. Se le dai una mano quella si prende un braccio. E se non l’hai capito, tanto vale che ti metti a fare il genitore buono...
- Va bene, ma adesso basta.
Luciano si alzò dal letto, mentre Luisa lo guardava. Scese in cucina, si versò mezzo bicchiere di prosecco e prese un cucchiaio di miele. Mentre passava Giulia gli disse “Ciao, papà”.

Luisa era salita a mettere a letto la bambina. Poi si era lavata e si era infilata a letto. Stava leggendo. Luciano era in salotto al piano terra. Spense la televisione e raggiunse le scale. Una rampa portava giù in garage, l’altra di sopra.
Cominciò a salire lentamente, senza fare rumore. Vide le luci delle due camere da letto che si incrociavano sul ballatoio, quella molto tenue del lumino acceso nella stanza della bambina e quella più chiara che usciva da camera sua. Era arrivato quasi in cima quando la luce della camera matrimoniale si spense. Luciano si fermò. Poi cominciò a scendere. Guardò il soggiorno rischiarato solo dalla luce dei lampioni che entrava dalle finestre. Scese in garage, si chiuse dietro la porta e accese l’interruttore. Entrò nella macchina di Luisa e la mise in moto. Poi si sedette al tavolino da picnic e cercò di finire il puzzle.


Filippo Lovato

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